Certi Luna Park, quando arrivano in piccoli paesi di provincia, sembrano dei temporali di luci e di musica, che travolgono
gli abitanti in un turbinio di allegra pazzia, le musiche che si sovrappongono si sfidano nell’aria come una battaglia
aerea.
Le luci, poi, ti fanno socchiudere gli occhi dal troppo sfarfallio e all’urlo “altro giro, altra corsa!”, come se fosse un richiamo
proveniente da un altro mondo in cui tutto è permesso, tutte le follie terrene si ritrovano a girare, a sobbalzare fino allo stremo delle forze nel parco della luna.
Non tutte le giostre ti fanno girare, sobbalzare, o barcollare.
La giostra del labirinto degli specchi no, lì bisognava entrare per poi perdersi e cercare la via d’uscita. È proprio lì davanti che si fermò Anna e, tirando per le braccia la mamma, le disse: «Mamma, voglio provare questa!».
«Ma questo è il labirinto, ti perderai sicuramente, – disse la madre, – non riuscirai più a uscire e io cosa farò senza di
te, senza il mio angioletto, la mia Annina? Chi la porterà a scuola? E poi non posso pensare che tu sia chiusa in questo
labirinto e io a passare da sola il Natale, il mio compleanno».
La mamma di Anna tirò fuori tutto il suo repertorio per far sentire la figlia in colpa e lo faceva in modo melodrammatico, si metteva la mano sulla fronte come un’attrice consumata e chiedeva: «Come farò a passare il Natale senza la mia piccolina, chiusa nel labirinto degli specchi?».
«Mamma, dai, smettila, sono grande!». Poi Anna prese le mani della mamma, la guardò intensamente negli occhi e disse: «Mamma, io riuscirò a entrare in quel dannato labirinto degli specchi per poi uscirne sana e salva e tu mamma, e tu mamma, sarai fiera di me, il tuo angioletto volerà in cielo per poi ricadere fra le tue braccia. Mamma, tira fuori il portafoglio, dammi i soldini che vado a prendere il biglietto per il labirinto degli specchi».
All’entrata del labirinto Anna sorrise alla madre, che rispose a sua volta con altrettanto sorriso forzato, come a dire: «Ti aspetto senza piangere, vai pure, angioletto mio».
Appena entrata nel labirinto, uno spruzzo di aria compressa colpì Anna dal basso facendole sollevare i bei capelli castani.
Subito dopo, Anna si ritrovò davanti a degli specchi che riflettevano e duplicavano la sua immagine: non era più un’Anna sola, ma dieci, cento, mille Anne; alzava le braccia e tutte le Anne facevano lo stesso; saltava e mille salti riflessi. Era un vero giramento di testa e di vertigini, Anna faceva smorfie o faceva i gesti di una scimmia e tutto nello specchio si faceva giungla, arca di Noè, mille animali, cani, gatti, scimmie, tutto in quegli specchi era vero e finto nello stesso tempo.
Anna rideva da impazzire, la mamma, preoccupata, aveva paura che la figlia si facesse male e allora le diceva: «Anna,
cammina con le mani avanti, altrimenti batti la testa».
A un certo punto, Anna si fermò e si guardò in silenzio e le venne un pensiero a forma di domanda: chi era la vera Anna
fra quelle mille Anne che si perdevano riflesse in lontananza nello specchio? E tutte lì che la guardavano negli occhi, migliaia
di occhi che guardavano la Anna in carne e ossa.
Allora Anna si avvicinò allo specchio a tal punto da far scomparire tutte le Anne e rimaneva lei vera, che le conteneva
tutte. Ecco chi era Anna, una persona che ne conteneva migliaia, come una scatola che ne contiene altre fino all’infinito
e questa sensazione, pensò, non era poi così sgradevole.
Anna proseguì il viaggio nel labirinto degli specchi, ogni tanto sbattendo la testa contro un vetro che non aveva visto.
La mamma da fuori continuava a dirle: «Le mani, Anna, le mani, mettile davanti, così non sbatti la testa».
Anna si ritrovò di fronte a degli specchi deformanti: uno la faceva apparire grassa e piccola, un altro alta e magrissima,
un altro ancora tutta storta, come se fosse ondulata. Anna danzò fra uno specchio e l’altro, divertita all’idea che lei prima grassa e piccola, potesse poi diventare alta e magra e poi ondulata… che meraviglia! Perché lei, Anna, si trovava bella comunque, perché rideva e ridere voleva dire volersi bene.
Quando Anna si rifletteva grassa e piccola faceva la voce bassa da orco cattivo, si metteva le mani sui fianchi e diceva:
«Ehi tu, che cos’hai da guardarmi, non hai mai visto niente? Vuoi che ti racconti la mia storia? Io vivo sola nel bosco e non ho paura di niente: quando sento il vento fra le foglie e i cani che abbaiano, penso che forse sono lupi, ma non mi
interessa, dormo sonni profondi come il pozzo di casa mia, dove io vado ogni tanto a urlarci dentro e una voce dal fondo del pozzo mi fa l’eco, tanto io so che non c’è nessuno e allora non ho paura».
Dopo questa piccola commedia allo specchio, Anna rideva come una matta, mentre fuori la madre continuava a dirle:
«Metti le mani avanti, per carità, altrimenti sbatti la testa contro i vetri».
Quando, invece, Anna si rifletteva nello specchio che la faceva apparire altissima e magrissima, allora faceva la voce acuta, sottile, con le labbra chiuse e diceva: «Come sono magra e alta», e rideva, «Come sono magra e alta» e rideva a crepapelle.
Intanto la madre continuava a fare il gesto di tenere le mani avanti, «altrimenti sbatti la testa», e ne faceva il verso toccandosi la fronte. E quando si trovava davanti allo specchio che la rifletteva tutta ondulata, faceva il verso del mare, dell’onda
che si infrangeva contro le rocce.
Anna si immergeva nel labirinto degli specchi, perdeva la strada e poi, felice, la ritrovava e piano piano imboccò la via per uscirne. Ad aspettarla, lo spruzzo dispettoso di aria compressa e la madre felice di non aver perso la figlia.
Anna, tirando a sé mamma, disse: «Tira fuori il portafoglio, darmi un soldino, voglio fare un altro giro».
La madre di Anna, senza dire nulla, la prese per le orecchie e la portò via da quell’inferno.
«No, mamma, scherzavo, mollami le orecchie, scherzavo», ma la madre non volle sentire ragione e la tenne salda per le orecchie, molto salda, saldissima.
«Le mani, Anna, dovevi tenerle avanti, avanti per non sbattere la testa».